Erdogan e la missione di Borrell: ricucire le relazioni UE-Turchia
Nel giorno in cui ricorre il Trattato di Losanna del 1923 Erdoğan partecipa alla prima preghiera islamica a Santa Sofia. Ma dietro ai colpi di scena del presidente turco, tra Turchia e Ue c’è un problema di credibilità e frustrazione reciproca, che va risolto in fretta per il bene di tutti
Le notizie che ogni giorno giungono dalla Turchia preoccupano sempre di più i policymaker europei. Le ultime in ordine di tempo: Erdoğan che riconverte Santa Sofia in moschea e che propone una nuova legge per estendere il controllo del governo anche ai principali social network. Come ha scritto l’Ecfr, sarà un’estate molto calda per le relazioni UE-Turchia. Proviamo a capire perché.
IL MEDITERRANEO ORIENTALE
Nelle ultime settimane i ministri degli Esteri dell’UE hanno avvisato ripetutamente la Turchia dell’arrivo di nuove misure punitive se Ankara non porrà un freno alle “azioni unilaterali” nel Mediterraneo orientale. “Sottolineiamo che le azioni unilaterali turche, in particolare nel Mediterraneo orientale, sono in contrasto con gli interessi dell’UE, con i diritti sovrani degli Stati membri dell’UE e con il diritto internazionale: queste azioni devono cessare”, ha detto il capo della politica estera UE Josep Borrell ai giornalisti dopo l’incontro con i ministri dell’UE tenutosi a Bruxelles all’inizio di luglio. Che il Mediterraneo orientale fosse il banco di prova attuale della politica UE lo si era compreso da tempo, come già aveva scritto l’Ecfr. Sembra evidente che la Turchia di Erdoğan stia avanzando nel Mediterraneo occupando uno spazio geopolitico che l’UE ha lasciato vacante. Come ho avuto modo di scrivere in un recente articolo, la politica estera resta il vero punto debole dell’UE.
IL CONFRONTO BORRELL-ÇAVUŞOĞLU
L’Alto rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Borrell si era recato ad Ankara i primi di luglio per una breve visita. In quella occasione, aveva detto con estremo realismo che “Attualmente la situazione è ben lungi dall’essere ideale”. Lo ha detto durante la conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, aggiungendo: “Ci sono molte questioni serie che richiedono la nostra immediata attenzione”. Il riferimento è alle intenzioni dei funzionari francesi di imporre nuove sanzioni ad Ankara per le sue attività di trivellazione del gas nei pressi di Cipro. “Sappiamo che la Turchia sarà all’ordine del giorno dell’UE nelle prossime ore”, ha risposto Çavuşoğlu, avvertendo Borrell. “Prendere decisioni contro la Turchia non risolverà i problemi esistenti, anzi li approfondirà”. “Se l’UE prenderà ulteriori misure contro la Turchia, dovremo rispondere”, ha concluso il ministro turco. La visita di Borrell è arrivata dopo un periodo in cui funzionari francesi e turchi si sono pubblicamente scambiati parole molto forti che hanno messo in discussione gli impegni reciproci nei confronti della Nato. All’origine delle recenti tensioni tra Francia e Turchia, il fatto principale è che i due Paesi hanno appoggiato le parti opposte nella guerra di Libia. Borrell probabilmente cercherà di negoziare con la Turchia, ma non avrà la tradizionale piattaforma per ricucire con Ankara: il processo di adesione all’UE. Con i negoziati di adesione in stallo dal 2016, infatti, alcuni analisti sostengono che Borrell e i leader dell’UE debbano creare un nuovo tavolo negoziale con la Turchia, per affrontare gli interessi condivisi e risolvere le controversie regionali. Altri sostengono, invece, proprio la riapertura ufficiale dei negoziati.
LO STATO ATTUALE DELLE RELAZIONI TURCHIA-UE
Valeria Giannotta, professoressa presso la Business School della Türk Hava Kurumu Üniversitesi di Ankara e Direttore Osservatorio Turchia del CeSPI, si è offerta di aiutarci a capire cosa succede oggi tra UE e Turchia dietro alle notizie di cronaca. “Si tratta di due partner imprescindibili, affrontano le diverse questioni da lotta al terrorismo, sicurezza, migranti e oggi pandemia. Le tensioni nel Mediterraneo orientale sono anche l’esito di politiche di isolamento ai danni di Ankara – idrocarburi, lobby greco-cipriota a cui la Turchia, oggi più smaccatamente nazionalista del passato, ha risposto flettendo i muscoli. Il messaggio è: siamo anche noi parte del gioco. Non avere un ruolo e rivendicare i propri diritti avrebbe ripercussioni economiche, commerciali e militari importanti per Ankara. Tuttavia, molto dell’approccio europeo verso Ankara è dettato da una logica ‘patronale’ di certe cancellerie europee. La Commissione ha proposto un nuovo pacchetto finanziario di sostegno alla Turchia, alla luce del Covid-19, da destinare ai rifugiati. Dopo che l’accordo del 2016 ha subìto uno stallo e sono cresciute le tensioni, la Commissione ha varato un nuovo pacchetto che attende però il voto del Parlamento. Il ruolo di Ankara resta per l’UE fondamentale come attore chiave nel supply chain. Grazie alla sua proiezione geografica e logistica è un hub di grande importanza con connessioni esistenti e solide nei Balcani e in altre parti del mondo. Rinunciare alla Turchia sarebbe una scelta miope, soprattutto se si considera che a livello economico l’Europa è suo principale partner. Certo rimane l’annosa questione dell’Unione Doganale che necessita certamente di essere rivista e aggiornata. C’è un evidente problema di credibilità e frustrazione reciproca. In fondo però la Turchia, come Paese emergente e smart-power, sta solo occupando i vuoti lasciati dall’assenza di Paesi europei. Forse l’Italia avrebbe dovuto giocare in anticipo in Libia. Erdoğan è certamente un leader che non fa simpatia e criticabile su molti aspetti, ma deve gran parte del suo successo al pragmatismo dell’agenda estera”.
2020-2016: LE RELAZIONI UE-TURCHIA A RITROSO
L’ultima volta che UE e Turchia sono andate d’accordo era il 2016, quando fu stabilito di affidare ad Ankara (dietro compenso) la gestione di più di 3,7 milioni di rifugiati siriani, riducendo al contempo gli ingressi informali in Europa. La questione migratoria è riemersa lo scorso febbraio, quando migliaia di richiedenti asilo si sono riversati verso il confine greco, mentre Ankara cercava il sostegno dell’UE per un rinnovo del sostegno finanziario. La Turchia chiede da tempo alla UE che venga applicato il programma di liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, come delineato nell’accordo del 2016. L’UE è di gran lunga il primo partner della Turchia per le importazioni e le esportazioni nonché una fonte di investimenti diretti. In questo momento, c’è un dibattito nell’Unione sul riposizionamento delle catene di fornitura post COVID-19 e c’è il desiderio di portare le catene di fornitura e la produzione di beni più vicino a casa. La Turchia è un buon candidato per questo ruolo. La pressione su Borrell è molto alta, poiché i leader greci e ciprioti si sono uniti alla Francia in opposizione alla politica estera turca: il presidente cipriota Nicos Anastasiades ha definito la Turchia martedì scorso come “un agitatore che sta cercando di dominare l’intero Mediterraneo orientale”.
2016-2013: GLI ULTIMI TENTATIVI DI TROVARE UN DIALOGO
La politica esterna neo-ottomana della Turchia di Erdoğan, che possiamo datare circa dal 2013 a oggi, non è solo una questione di autoritarismo o di fanatismo religioso, ma anche un chiaro messaggio di politica estera. Ai paesi musulmani la Turchia ricorda di essere leader regionale e modello di Islam politico, alla UE e agli altri alleati occidentali dimostra di essere un attore indipendente che non ha paura di nessuno. Come aveva spiegato Volkan Bozkir nel 2015, quando ricopriva la carica di EU affairs and Chief negotiator, la Turchia aveva fatto di tutto per assomigliare a una democrazia occidentale nei primi anni di governo di Erdoğan: “Cinquantacinque anni sono la prova di una lunga storia di amicizia costruita intorno a interessi comuni. Nel 1963 era un’altra Turchia, oggi l’ingresso nell’UE sarebbe per valori, non per soldi. La Turchia è arrivata a livelli di sviluppo molto vicini a quelli europei e la democratizzazione è un processo continuo che non è mai stato messo in discussione. La Turchia è un alleato strategico in campo energetico e possiede una popolazione giovane, utile come forza lavoro in ambito economico e militare. Per l’Europa un’identità cristiana è anacronistica, la Turchia è uno Stato secolarizzato e la sua economia è aperta. Aspettiamo che l’Europa sblocchi il negoziato di adesione”. Dopo quelle dichiarazioni è arrivato soltanto il già citato accordo sui migranti. Oggi le cose sono cambiate, la Turchia è sempre meno secolarizzata e democratica. Più si aspetta a ritrovare un dialogo di fiducia con lei e più la Turchia si allontana – ma questo non significa che diventa meno potente e meno importante, anzi. Il ruolo della Turchia si afferma e cresce di peso nello scacchiere internazionale. Lo dimostra anche il fatto che Bozkir, nel frattempo, è stato eletto presidente della prossima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Bozkir è il primo cittadino turco a guidare l’Assemblea generale, entrerà in carica a settembre e ricoprirà l’incarico per un anno.
2013-1963: COME ABBIAMO PERSO LA FIDUCIA DEI TURCHI
Quello tra UE e Turchia è un rapporto che mette alla prova la politica estera europea dal 1963. Si deve ammettere che, nonostante la deriva autoritaria di Erdoğan che è inaccettabile e condannabile da tutti i punti di vista, in prospettiva storica l’Europa ha dimostrato proprio nei confronti della Turchia tutta la sua incoerenza. Nel 1963 con l’Accordo di Ankara la Comunità Economia Europea si associa alla Turchia, che diventa uno dei principali partner commerciali dei Sei (Francia, Italia, Germania Ovest e Benelux), i quali promettono ai turchi una futura piena adesione. Nel 1987 arriva ufficialmente la richiesta di Ankara alla CEE per una piena integrazione economica e politica. Con Maastricht 1993 la nuova UE stabilisce i criteri per l’adesione e nel 1996 si realizza l’unione doganale con la Turchia. Nel 1999 ai turchi viene riconosciuto ufficialmente lo status di Paese candidato alla UE. Ma, come spiega Giscard d’Estaing nel 2002, nessuno avrebbe accettato la Turchia fino in fondo: “Se la Turchia entra è la fine dell’Unione Europea, la Turchia non è un Paese europeo, la sua capitale non è in Europa, il 95% della sua popolazione non è in Europa e diventerebbe uno tra gli Stati membri i più popolosi dell’Unione. La maggioranza del Consiglio Europeo si è pronunciata contro l’adesione, ma nessuno lo ha mai detto ai turchi”. Nonostante questo pensiero da parte europea – neppure troppo nascosto – tra il 2000 e il 2005 si vivono gli anni d’oro delle riforme turche, realizzate sull’onda del desiderio di entrare nell’UE: adozione di leggi conformi agli standard internazionali in materia di diritti umani e abolizione della pena di morte, riconoscimento di alcuni diritti delle donne e creazione di meccanismi di tutela contro la tortura, con l’aggiunta di una riforma del sistema carcerario. Erdoğan stesso promuove leggi che riducono le restrizioni rispetto alla libertà di associazione e di espressione, sia dei cittadini che dei mezzi d’informazione. Nel 2002 il Consiglio europeo riconosce gli importanti progressi della Turchia. La Turchia intensifica i propri sforzi di riforma e nel 2005 partono i negoziati di adesione. Ma il rapporto con l’Europa si raffredda bruscamente a causa della questione di Cipro. L’ingresso di Cipro nella UE del 2004 è una vera doccia fredda per la Turchia. Da quella data inizia la nuova fase neo-ottomana della Turchia, più autoritaria e meno europea. Le rivolte di Gezi Park represse da Erdoğan, il tentato golpe e le conseguenti limitazioni delle libertà hanno trasformato in pochi anni la Turchia da aspirante democrazia desiderosa di entrare nell’UE a perfido regime dittatoriale che persegue una politica estera autonoma e aggressiva nella regione, in opposizione o in totale indifferenza nei confronti dell’UE. La citata questione della gestione dei flussi migratori provenienti dalla Siria e da altre zone di guerra, la questione libica e gli altri dossier nel Mediterraneo passano tutti dal rapporto con la Turchia. Che piaccia o no il regime, il dialogo va migliorato. L’Europa oggi ha l’ennesima occasione di ritrovare una politica estera comune proprio costruendo il proprio ruolo nel Mediterraneo orientale, iniziando a recuperare il rapporto con la Turchia. Altrimenti, “il rischio di un fidanzamento troppo lungo è che, sia la sposa, sia il partner, diventino troppo vecchi per essere ancora interessanti al matrimonio”. Questa è ancora la situazione di stallo riguardante il cammino di adesione della Turchia all’Unione Europea, nelle parole sempre valide dell’ex Ambasciatore in Turchia dal 2004 al 2010 Carlo Marsili.