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Agile, smart, ma soprattutto umano

Che lo smartworking non sia il telelavoro dovrebbe essere ormai chiaro a tutti. Eppure, all’indomani del picco della crisi pandemica, appare ancora difficile distinguere: da più parti si continua ad attribuire la qualifica di “lavoro agile” a una prassi obbligata, che di agile ha ben poco (non a caso, fuori dai nostri confini nazionali la definizione è quella, più calzante, di “remote working” oppure di WFH, “work from home”).

Ma se lo smartworking non è (ancora) una realtà questo non significa che non possa diventarlo; anzi, dovrebbe, se davvero le aziende vorranno fare tesoro della lezione appresa durante il Covid-19 – in primis sul piano relazionale e sociale.

A essere favorite sono senza dubbio le organizzazioni che avevano già fatto adeguate scelte tecnologiche, oltre che di compliance, prima del lockdown – ma che hanno anche colto questa occasione per ripensare più in generale la cultura aziendale.

Nel caso di Deda Group, i tre pilastri fondamentali sui quali è stata costruita l’infrastruttura digitale – mobility first, collaboration e cloud – hanno permesso di rendere il lavoro da remoto accessibile ai dipendenti del gruppo sin dall’inizio della pandemia, con il 95% della popolazione aziendale in home working alla data del 14 marzo 2020.

Già in questa fase sono state condotte iniziative – come il racconto collettivo #DistantiMaUniti – volte a sostenere la coesione e la resilienza nell’organizzazione. Dopo la fase emergenziale, il gruppo ha avviato un intervento più ampio e strutturato, che ha coinvolto non solo spazi e strumentazioni, ma anche – e soprattutto – persone e cultura manageriale.

Il progetto di Lavoro Agile, integrato in un più ampio processo di rinnovamento culturale radicato nella cura organizzativa, è stato strutturato in più fasi: a partire dalla survey condotta sui dipendenti ad aprile 2020 per verificarne la disposizione nei confronti della possibilità di alternare attività lavorativa da remoto e in presenza, e proseguendo con le interviste con il management a Giugno 2020 per sondare la loro valutazione sulle capacità di autorganizzazione dei team.

Da gennaio 2021 è quindi stata avviata la prima fase del progetto, nella quale i dipendenti sono stati abilitati a lavorare in modalità agile. A questo scopo, è stata definito uno strutturato modello che permette di scegliere, tramite un’applicazione dedicata sviluppata internamente, una formula con distribuzione settimanale – dai 2 ai 5 giorni di attività da remoto – o mensile – per un totale massimo del 75% di lavoro agile.

L’impianto definisce inoltre i vincoli di orario e soprattutto il diritto alla disconnessione, senza dimenticare la sicurezza, vincolata a un Regolamento sulla Gestione dei Dati Aziendali e a ulteriori misure volte a tutelare riservatezza, disponibilità ed integrità dei dati.

A seguire, la seconda fase del progetto – in conclusione a fine settembre – ha visto una profonda riprogettazione delle sedi, trasformate in luoghi di condivisione e co-progettazione, con il superamento della postazione “fissa” assegnata e l’opportunità per il dipendente di prenotare lo spazio di lavoro – tramite un’app customizzata che consente di visualizzare la mappa della sede con gli spazi disponibili.

Ultima, ma non ultima, sarà la fase di formazione che sin dall’autunno coinvolgerà sia i manager che i collaboratori, per accompagnarli nella metabolizzazione del cambiamento, e favorire la transizione verso un rinnovato equilibrio tra libertà e responsabilità, spazi fisici e virtuali, dimensione personale e professionale: vera cifra del lavoro del futuro – agile, smart, ma soprattutto umano.

 

(fonte: Startmag.it)

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