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Il segreto è un mix tra presenza e remoto

Pubblichiamo di seguito il colloquio con Fabrizio Capobianco di Stefano Grazioli, pubblicato sull’ultimo numero del quadrimestrale Start Magazine (Marzo 2021-Luglio 2021).

Fabrizio Capobianco parla da San Jose, Silicon Valley. L’intervistatore è a Sondrio, Valtellina, non proprio l’ombelico del mondo, in campo di nuove tecnologie. Oltre al fatto però che le Zoom o Teams o Skype Calls sono diventate lo strumento fondamentale per qualunque lavoro nell’era Covid-19, i luoghi sono importanti perché costituiscono il punto di arrivo, per ora, e quello di partenza nella fulminante carriera di Capobianco, una delle figure di maggiore spicco che hanno portato il talento e la professionalità italiana a contraddistinguersi sulla piazza non solo statunitense, ma mondiale.

Capobianco, cinquant’anni festeggiati lo scorso dicembre, oggi è Chief Innovation Officer di Minerva, leader mondiale nel Cloud TV, e Presidente di Funambol. la società che lui stesso ha fondato nel 2002, specializzata nel personal cloud per operatori mobili. È partito proprio da Sondrio, dalla provincia lombarda, e dopo la laurea in Ingegneria a Pavia è approdato in California, dopo un percorso di successo che lo ha visto lanciare nel 1994 la prima Web Company italiana, Internet Graffiti. È stato insomma un pioniere, è da oltre vent’anni in Silicon Valley, dove con Funambol prima e TOK.tv poi ha costruito un modello, da ingegnere e imprenditore, che ha anticipato i tempi e gli ha permesso di affrontare con gli strumenti migliori le sfide della pandemia. All’inizio degli anni 2000, nel giro di breve tempo, porta Funambol a diventare il progetto leader al mondo nel mercato mobile open source e raccoglie oltre 30 milioni di dollari di investimenti da Venture Capitalist americani. Il segreto sta tutto, oltre che nella sua bravura, nei meccanismi della Silicon Valley, riassunti in quella che definisce la “teoria dei pomodori”: “Allo stesso modo per cui se devi piantarli e farli crescere belli e buoni non lo fai in Norvegia, ma in Sud Italia, così se ti occupi di software devi per forza stare qui, dall’altra parte dell’Oceano”.

L’AZIENDA LIQUIDA
Per Capobianco la questione è semplice: “Tre sono i fattori chiave per una storia di successo, a partire dal fatto che solo qui si trovano facilmente, e con le idee buone, i capitali per avviare una startup, combinati con la presenza delle altre aziende intorno con cui far accordi per crescere, per arrivare alla possibilità che poi qualcuno più grande ti compri”. Tutto questo, racconta Capobianco, in Italia non c’è ed è quindi inevitabile essere finito in California. E così si inventa l’azienda virtuale, liquida, con il battesimo nel 2012 di TOK.tv, che opera tra la Silicon Valley e l’Italia, senza nessun ufficio. L’essenza dello smart working all’italiana, il WFH anglosassone (working from home), otto anni prima dell’avvento del Covid-19 che costringerà le aziende di quasi ogni genere in tutto il mondo a rivedere il concetto di “lavoro”. “I cervelli in TOK.tv li abbiamo reclutati allora da ogni parte d’Italia, un serbatoio di talenti, poi nel resto del mondo, dalla Gran Bretagna alla Cina”, spiega ancora Capobianco. “La sfida è stata quella di costruire una Liquid Enterprise, un’azienda che per funzionare al massimo dell’efficienza e della produttività richiede una serie di strumenti sincroni e asincroni, cioè utilizzabili per chi sta a decine di fusi orari di distanza”.

Adesso tutte queste cose sembrano ovvie, un decennio fa lo erano un po’ meno. Come Funambol aveva preso il volo con l’uscita di Skype (2003), così TOK.tv lo fa grazie a Slack (2013), software applicativo di gruppo, fondamentale per la collaborazione aziendale. “TOK.tv non aveva un quartier generale, fisico, Slack era il vero headquarter, virtuale, in cui nessuno si sentiva lontano o escluso, come magari era accaduto prima, quando gli ingegneri in Italia avevano l’impressione di essere lontani da quello che veniva deciso e fatto in Silicon Valley”. E così, grazie alla strategia inclusiva dell’azienda liquida, TOK.tv diviene con oltre 40 milioni di utenti in poco più di un quinquennio il social network per lo sport più grande al mondo, forte delle partnership con le migliori squadre di calcio del pianeta: Barcellona, Real Madrid e ovviamente Juventus, di cui Capobianco è gran tifoso, oltre ad essere il presidente del Fan Club ufficiale della Silicon Valley.

Nessuno è perfetto, diranno interisti o milanisti, ma Fabrizio Capobianco è uno che sa benissimo dove andare e se nel 2019 TOK.tv viene acquisita da Minerva e vi assume la carica di responsabile per l’innovazione, non ci mette molto a convincere il Ceo Mauro Bonomi, per inciso un altro valtellinese, che il Covid-19 potrà ben presto trasformarsi in una grande opportunità. “Minerva all’inizio della pandemia aveva remote working pari a zero e quando è stato detto che l’azienda era praticamente finita è successo invece il contrario. Già dopo i primi tre mesi in WFH abbiamo visto crescere la produttività”. Il tutto grazie ovviamente all’esperienza di Funambol, TOK.tv e la strategia del lavoro da casa, che però da sola non basta, se non è accompagnata dagli incontri fisici, per certi versi insostituibili. Su questo c’è poco da discutere. “Se infatti il lavoro da remoto è il futuro, almeno per molti settori e non solo quello di chi costruisce software, la componente fisica, di presenza, di scambio di idee in maniera diretta, rimane fondamentale per creatività e di conseguenza per innovazione e crescita”.

Dopo 9 mesi di Covid-19, confida Capobianco, che periodicamente organizzava in Italia incontri-vacanze con i colleghi di TOK.tv sparsi per il mondo, “è evidente che la crescita iniziale della produttività dovrà confrontarsi con la realtà in cui la parte creativa, di innovazione, se fatta solamente online risulta praticamente impossibile”. “È per questo che i prossimi mesi saranno molto più difficili ecomplicati rispetto a tutto lo scorso anno. Il lavoro day by day è facile da sbrigare, anche dalla posizione di Chief Innovation Officer, quello però di pianificazione, innovazione, ordinamento ha bisogno non solo di Zoom, ma di momenti di incontro e fisicità”, chiosa Capobianco.

MODELLO SILICON VALLEY ANCHE PER L’ITALIA
Nessun dubbio comunque che il virus abbia impresso un’accelerazione enorme anche in Italia sulla questione del lavoro da casa, guadagnando una decina d’anni in un sol colpo. “Il modello dell’impresa liquida e della Silicon Valley può essere valido anche e forse proprio per un Paese come l’Italia, dove molti possono e potranno lavorare da casa, nei loro paesini bellissimi in Sicilia o sulle Alpi, alternando la programmazione di un software con una sciatina in montagna”. Cosa che sta diventando quasi la regola anche a San Jose e dintorni, con molti che preferiscono allontanarsi dalla Silicon Valley e lavorare in remoto, scegliendo una maggiore qualità della vita. “Unico problema – sottolinea ovviamente chi con la vendita della propria azienda ha piazzato un colpo da maestro – è il fatto che stando lontano dai quartier generali, anche se stanno scomparendo, vedere ad esempio alla voce Dropbox, si avrà poca possibilità di fare carriera all’interno di una società e ancor meno probabilità di entrare nei meccanismi di quel capitalismo di ventura nel quale vige la ferrea legge secondo cui i finanziatori si fidano solo di chi sta a meno di venti minuti di distanza”.

Capobianco, che ha costruito la sua carriera partendo da Sondrio e Pavia, facendosi poi subito volere bene dai Venture Capitalist californiani, vede insomma l’Italia proiettata dal Covid-19 verso il futuro, anche se passare da un Paese in cui la regola è timbrare il cartellino a uno in cui si lavora da casa non è automatico. “Nessuno in Silicon Valley ha mai timbrato il cartellino, però, se nel 2016 avevo parlato a Cernobbio del concetto di impresa liquida di fronte a una platea di amministratori delegati e politici che mi guardavano come un marziano, oggi le cose sono cambiate, e di molto”. La speranza è quella di non perdere il famoso treno, di far breccia attraverso tutte le sacche di resistenza che ancora ci sono e che frenano lo sviluppo sostenibile. La pandemia vista come una chance per ripartire, anche lavorando da casa.

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