Quali prospettive per il sistema sanitario nazionale?
Conversazione con il prof. Francesco Blasi, professore ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università di Milano e direttore del dipartimento di medicina interna dell’IRCSS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
La sua esperienza di ricerca verte soprattutto sulle malattie respiratorie. Com’è cambiato l’approccio dei ricercatori impegnati nell’ambito a causa della pandemia da Sars-CoV2?
Certamente la pandemia da Sars-CoV2 ha assorbito in maniera importante le risorse umane rendendo l’attività di ricerca molto più complessa. La mia esperienza è stata tuttavia positiva. Si sono aperte nuove collaborazioni sia all’interno che all’esterno dell’Università degli studi di Milano e dell’Ospedale IRCCS Fondazione Cà Granda Policlinico dove lavoro, che hanno consentito di raggiungere in tempi brevissimi un importante salto nella conoscenza della malattia e nella sua gestione con ricerche sui profili di rischio genetici, sulle problematiche relative alla coagulazione, sulla gestione della ventilazione meccanica e della terapia con antinfiammatori. La spinta alla collaborazione tra gruppi di ricerca è stata fortissima pur in una situazione difficile di stress assistenziale che ci ha colpito in maniera assolutamente inaspettata. La ricerca, come sempre, ci ha aiutato a curare meglio i pazienti e a fare meglio il nostro lavoro di clinici, e soprattutto ci ha fatto prendere ancora una volta coscienza dell’importanza della collaborazione tra medici, ricercatori clinici e ricercatori di base.
Accanto all’eccezione drammatica della pandemia ci sono le tristi regole delle patologie croniche (come la fibrosi cistica), che per il sistema sanitario è stato complesso continuare a gestire. Quali sono a suo parere le condizioni per garantire il trattamento e la cura delle cronicità anche in un futuro presumibilmente non al riparo da altri focolai pandemici?
La pandemia non ha ovviamente cancellato le altre malattie e anzi spesso ne ha acuito le problematiche, soprattutto nel caso delle malattie croniche. Anche in questo caso abbiamo imparato nuovi modi per cercare di gestire al meglio i pazienti. La telemedicina, i gruppi di contatto con i pazienti, visite e ricoveri il più possibile programmati sono stati gli approcci che probabilmente rimarranno attivi anche dopo la pandemia. In particolare la possibilità del controllo a distanza del paziente cronico attraverso l’interazione multidisciplinare con diversi attori quali medico, fisioterapista, infermiere, psicologo ecc. è un sistema che dovrà essere ulteriormente migliorato e affinato. Un altro importante aspetto è il rapporto ospedale territorio che è stato il grande “assente” nella pandemia. La pressoché totale assenza nella nostra realtà di specialisti pneumologi territoriali e di un rapporto proattivo tra medici di medicina generale e specialisti sono senza dubbio problemi che andranno affrontati e risolti nel prossimo futuro.
Lei ha coordinato lo studio sulla bronchiectasia, una malattia rara e orfana di uno specifico farmaco, i cui risultati di fase 2 sono stati pubblicati lo scorso autunno dal New England Journal of Medicine. Quali crede siano oggi le priorità per assicurare un sistema sanitario inclusivo, soprattutto rispetto ai pazienti affetti da malattie rare?
Come lei sottolinea la ricerca consente di mettere a disposizione dei cittadini nuove cure che spesso portano ad un miglioramento importante della qualità di vita e possono cambiare la storia naturale delle malattie. Il nostro sistema sanitario è certamente tra i più inclusivi al mondo e garantisce le cure a tutti i cittadini italiani. Tutto però si può migliorare e il caso dei soggetti affetti da malattie rare è un esempio dell’importanza di sostenere adeguatamente la ricerca clinica e di base per giungere al traguardo del controllo e finanche della guarigione di queste malattie che, benché definite rare, colpiscono decine di milioni di persone in Europa e circa due milioni in Italia. Il problema fondamentale è il costo della ricerca e dei farmaci che dalla ricerca vengono proposti, la soluzione non è semplice perché l’equilibrio economico è sempre difficile ma credo che le prospettive post pandemia siano più favorevoli ad uno sforzo importante per la ricerca medica e per il futuro dei nostri pazienti.