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Salvare il pianeta creando un’economia nuova

L’approfondimento di Luca Longo

Nel 2040 condivideremo questo pianeta con 9 miliardi di persone. Ognuna di loro avrà gli stessi nostri diritti alla vita, alla salute, al benessere alla crescita personale e sociale. Ognuna di loro avrà bisogno di energia per ottenerle e per difenderle.

Ma non possiamo immaginare che lo stesso modello di sviluppo che oggi è applicato nei Paesi più ricchi possa essere mantenuto ed esteso a tutti. Consumiamo più di quello di cui abbiamo bisogno, sprechiamo risorse, energia, acqua, cibo, materiali. In 150 anni, con le nostre attività, abbiamo praticamente raddoppiato il contenuto di anidride carbonica in atmosfera e abbiamo provocato un aumento dell’effetto serra che già sta modificando sensibilmente il clima terrestre.

Siamo ben lontani dall’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2 C come fissato dagli Accordi di Parigi. Già entro il 2030 dovremo diminuire da 32 a 24 miliardi di tonnellate la quantità di CO2 che ogni anno liberiamo in atmosfera. Ma al ritmo attuale rischiamo invece di salire a 34 miliardi.

Per questo Eni – per prima fra le grandi compagnie energetiche mondiali – si è data l’obiettivo di contribuire a dare energia al pianeta secondo un modello di economia circolare.

Circolare significa Ridurre: realizzare lo stesso bene o servizio con un minore consumo di risorse, privilegiando quelle meno impattanti per l’ambiente.

Circolare significa Riutilizzare: impiegare più volte lo stesso bene evitando di consumare materie prime e riducendo gli sprechi e le necessità di smaltirli.

Circolare significa Riciclare: quando un bene è arrivato a fine vita, recuperare la materia contenuta e trasformarla in modo da poterla riutilizzare, diminuendo gli smaltimenti e i consumi.

Per raggiungere questi obiettivi è necessario l’Eco-design: la capacità di progettare la produzione di un bene o un servizio in modo da garantirne la maggiore durata possibile, la semplice manutenzione/riparazione, l’opportunità di rilavorarlo, ammodernarlo o aggiornarlo, la possibilità di riciclarlo facilmente al termine della sua vita utile.

Eni ha già abbattuto drasticamente la componente carbonica delle sue attività. Si impegna a ridurre a zero il flaring (le fughe di gas metano dagli impianti e dalle raffinerie) e grazie alla tecnologia EST riutilizza gli scarti più pesanti della raffinazione per dare vita a combustibili più leggeri.

La ricerca scientifica e la digitalizzazione ora stanno stanno aiutando il cane a sei zampe a fare ancora di più: soluzioni digitali smart da applicare in tutti gli ambiti possono, da sole, contribuire a ridurre entro il 2030 del 20% le emissioni di CO2.

È necessario costruire un modello di consumo finale dell’energia (è qui che avvengono il 90% delle emissioni del settore) più attento all’efficienza, a minimizzare gli sprechi, a favorire il ricorso alle fonti più pulite anche con l’applicazione delle tecnologie più avanzate. Versalis – la società chimica di Eni – ha studiato, sviluppato e messo in produzione numerose tecnologie per il riciclo di materiali plastici da imballaggio. Nella prima bioraffineria al mondo, quella Eni di Venezia, vengono trattati 230.000 tonnellate di oli vegetali all’anno – inclusa metà degli oli esausti da frittura raccolti in Italia – per trasformarli in biocarburanti. Nel 2024 la capacità di lavorazione crescerà a 560.000 tonnellate all’anno.

Dopo più di tre milioni di ore di lavoro, nell’agosto del 2019 ha iniziato le sue attività anche la bioraffineria di Gela. L’impianto siciliano ha una capacità di lavorazione annua che può raggiungere le 750 mila tonnellate annue di oli vegetali usati, grassi di frittura, grassi animali, alghe e sottoprodotti di scarto avanzati per produrre biocarburanti premium di qualità.

La nuova bioraffineria, considerata secondo tutti gli standard tecnici la più innovativa d’Europa, ha preso il posto del grande petrolchimico, realizzato a partire dal 1962, e i cui impianti sono stati fermati. La spesa per la riconversione della raffineria è stata di circa 285 milioni di euro, a cui si sommano altri 15 milioni di investimento nella realizzazione di un impianto di pre-trattamento delle biomasse e di strutture logistiche per aumentare la flessibilità dei feedstock, il cui completamento è previsto per la fine del 2020.

Nel medio termine, la multinazionale energetica nata in Italia, punta a un mix che sposti progressivamente l’equilibrio dai combustibili fossili più inquinanti, soprattutto il carbone, a quelli meno inquinanti, primo fra tutti il gas naturale, che – a parità di energia prodotta – provoca la metà delle emissioni del carbone.

Ma il cane a sei zampe ha un modello di crescita fondato sulle energie a più basso impatto ambientale. Investe nella ricerca, sviluppo e messa in produzione di energie rinnovabili, come il solare fotovoltaico, il solare termico, la trasformazione in biocarburanti di biomasse provenienti da rifiuti organici urbani, da scarti agricoli e forestali, microalghe coltivate in zone aride. In questo modo, i biocarburanti del futuro non sono in concorrenza con l’agricoltura dedicata a nutrire il pianeta.

Eni – ancora una volta unica fra tutte le grandi compagnie energetiche mondiali – ha dato vita al Commonwealth Fusion System guidato da scienziati del Mit di Boston con l’obiettivo di produrre energia pulita dalla fusione magnetica entro 15 anni. A questa iniziativa ora si affiancano altri fra gli attori più innovativi e visionari del pianeta, come Bill Gates, Jeff Bezos, Jack Ma, Mukesh Ambani e Richard Branson.

Come aveva dichiarato l’ad Claudio Descalzi già nel 2018: “La sfida è enorme, ma altrettanto lo è l’opportunità che ci si presenta di fronte: salvare il pianeta creando al contempo un’economia nuova, più inclusiva, costruendo un’intera gamma di imprese e posti di lavoro che ancora non esistono.”

(Versione ampliata di un articolo pubblicato su eni.com)

 

(fonte: StartMag.it)

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